Danilo Dolci, l’urgenza intatta di recuperare lo  spirito pacifista da Sud

Il 2024 è stato l’anno del centenario dalla nascita di Danilo Dolci. In questa occasione,  uno dei pensatori italiani più influenti della non violenza, della lotta contro le mafie e le povertà, è tornato alla ribalta attraverso le tantissime iniziative che lo ricordavano.
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Tra le figure chiave del meridionalismo

Alcune settimane fa, lanciavo da queste pagine una sfida ai lettori, ovvero  riuscire ad aprire un dibattito culturale attraverso il quale tentare di recuperare il “pensiero meridiano”,  per dirla con le parole di Franco Cassano. Una serie di contributi, brevi spunti, attraverso i quali attivare la curiosità ed aprire un dibattito su figure chiave del meridionalismo italiano. Un pensiero su  Rocco Scotellaro fu il primo articolo dedicato a questa sfida mentre  oggi provo a riflettere intorno Danilo Dolci.
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Fu tante cose, Danilo Dolci: sociologo, poeta, educatore e attivista della non-violenza. E come spesso mi accade quando rifletto sulla necessità della “questione meridionale” nella nostra contemporaneità, mi rendo conto di quanto sia utile rileggere la storia della letteratura recente – e non solo evidentemente –    per vedere con lenti diverse quello che accade intorno a noi. Dolci fu un intellettuale meridionalista, militante e pacifista, protagonista di lotte contro l’ingiustizia sociale, noto per la sua particolare capacità di raccontare le difficoltà di chi, in Sicilia, rimaneva indietro, negli anni Cinquanta del Novecento.
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La scelta del Sud

Come Carlo Levi – suo amico –  Danilo Dolci scelse volutamente di andare al Sud, lui che nacque nel 1924 a Sesana, all’epoca in provincia di Trieste e che oggi si trova in territorio sloveno. Entrambi erano settentrionali del Sud e nonostante le loro differenze, Levi e Dolci trovarono nel Sud, per quella parte dell’Italia bella e tormentata, la loro ragione di militanza e di scrittura.

Se dovessimo rileggere con gli occhi dell’attualità l’impegno e le attività di Dolci, scopriremmo che la pace ha un valore ancora più incisivo in queste ore di grande paura. Con la guerra – anzi le guerre –  a due passi da noi, la paura è il sentimento forse più comune che ci accompagna in queste giornate dal fiato corto.  

Un metodo quasi ghandiano

Il suo modo, quasi ghandiano, di attraversare i problemi  e tentare – spesso riuscendoci – di risolverli ci fanno riflettere di quanto siano incomprensibili i metodi non pacifici di risoluzione dei conflitti internazionali.

Quando parliamo di Danilo Dolci, raccontiamo di un intellettuale connesso alla realtà e legato alle persone che lo circondavano, riconoscendosi anche nelle loro battaglie. Un modo d’essere, il suo, che lo unisce – certamente non in maniera casuale, ne sono sicuro –  ad altri meridionalisti che, nel giro di pochi anni, provarono a trasformare con il loro esempio, con le loro visioni, lo stato delle cose.

Il già citato Scotellaro ne è un fulgido esempio.  D’altronde Dolci aveva una postura pubblica che lo rendeva unico. Ci costringeva alla riflessione condivisa, al prendersi i tempi della pace davanti ai “conflitti” del suo tempo e del luogo in cui aveva a scelto di operare. Il metodo maieutico di partecipazione delle comunità nelle scelte “politiche” decisive e determinanti, l’esempio di lotta non violenta per riaffermare le necessità di ciascuno in quanto membro di una comunità più grande, fanno del poeta triestino un esempio sempre attuale.

“Ciascuno cresce solo se sognato”

Ed ecco, avvicinandoci alla conclusione, che provando ad approfondire il suo operato,  per esempio leggendo “Fare poresto (e bene) perché si muore” (1954) e “Banditi a Partinico” (1955), Dolci ci appare pienamente un pacifista contemporaneo, al pari di Alexander Langer, offrendoci soluzioni di mediazione e responsabilizzazione collettiva come metodo quotidiano nell’affrontare sia le questioni più semplici ma anche aspetti decisamente più complessi. Sono pagine che non mancano di frequenti intuizioni poetiche ma che si traducono, per concludere questo mio omaggio, in dei versi famosi «(…) C’è pure chi educa, senza nascondere / l’assurdo ch’è nel mondo, aperto ad ogni / sviluppo ma cercando / d’essere franco all’altro come a sé, / sognando gli altri come ora non sono: / ciascuno cresce solo se sognato.»

Danilo Dolci nell’illustrazione di Francesco Siliberto