Rocco Scotellaro, il poeta militante

In questo 2025 ricorrono i 102 anni dalla nascita di Rocco Scotellaro, e 72 dalla sua morte.  Rocco era figlio di Vincenzo, calzolaio, e di Francesca Armento, sarta e contadina, che riusciva a scrivere le lettere per i compaesani lucani emigrati in America. Il contesto storico è quello del secondo dopoguerra, in Basilicata.

Rocco Scotellaro nell’illustrazione di Francesco Siliberto

Rocco Scotellaro ha vissuto l’intera infanzia e lunghi anni della sua breve vita in un centro rurale in provincia di Matera, Tricarico. Egli è sempre stato consapevole della dura situazione in cui versavano i contadini e si è sempre battuto per il miglioramento delle loro condizioni economiche e sociali.  

Una poetica militante

Lo ha fatto da poeta, raccontando in versi ed in prosa la realtà che viveva, e da sindaco – per ben due volte – del suo Comune. Proprio come il suo caro amico Carlo Levi che, con il suo “Cristo si è fermato ad Eboli”, denunciò le condizioni infami e disumane della classe contadina meridionale negli anni della guerra e nel primo post-guerra.

Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli.

L’attualità di Scotellaro

Qualcuno può legittimamente chiedersi se ha senso, oggi, leggere ed incantarsi per l’operato di Rocco Scotellaro. La mia personale risposta è che non solo sia utile ma anche fondamentale per comprendere quale sia la situazione dell’Italia meridionale nell’immediato dopoguerra.

Una poetica attualissima, quella di Scotellaro che era innamorato della sua terra, la viveva in maniera tormentata e che non volle mai abbandonare. Bellissime le parole di una delle sue prime poesie, “Lucania”:

M’accompagna lo zirlio dei grilli / e il suono del campano al collo / d’un’inquieta capretta./ Il vento mi fascia / di sottilissimi nastri d’argento / e là, nell’ombra delle nubi sperduto, / giace in frantumi un paesetto lucano.

Il carcere

L’esperienza politica, che in una fase della vita dell’artista lucano ha prevalso sull’attività poetica, non è stata certamente facile perché interrotta da un’ingiusta detenzione nel carcere di Matera. A questa esperienza, Scotellaro fece seguire il suo lavoro sociologico con l’Istituto di Economia agraria dell’Università Federico II di Napoli diretto da Manlio Rossi Doria a Portici.

La morte prematura

Fu incaricato di redigere un piano di sviluppo per la Regione Basilicata, attraverso anche uno studio sulle condizioni dei contadini meridionali.  Un progetto che Scotellaro non riuscirà a terminare perché morirà il 15 dicembre 1953, stroncato da un infarto, a soli 30 anni.  

(…) Dopo che la luna fu immediatamente / calata / ti presi tra le braccia, / morto / Un Cristo piccolino / a cui mi inchino / non crocefisso ma dolcemente / abbandonato / disincantato.(…).

Furono queste le parole di Amelia Rosselli appresa la morte del suo caro amico lucano.

Il lascito di Scotellaro

Sono profondamente convinto che la poesia di Scotellaro ci appaia, ancor oggi, struggente perché legata ad un tempo lento, distante dalla contemporaneità in cui tutto corre e cambia repentinamente. Quella lentezza che sembrava quasi pietrificare ogni cosa, come racconta Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”: «Sulla mia terrazza il cielo era immenso, pieno di nubi mutevoli, mi pareva di essere sul tetto del mondo, o sulla tolda di una nave, ancorata su un mare pietrificato».

Una poesia militante legata alla fatica del lavoro dei campi, in un’Italia contadina che si stava attrezzando per la ricostruzione industriale,  partita pochi anni dopo e che imponeva all’Italia di allora, e al Mezzogiorno in particolare, cambiamenti repentini e conflitti che, a volta, sembrano tutt’ora irrisolti.

Una sfida e un invito per i lettori

Chiudo lasciandovi un invito. Perché non avviare una discussione, magari su questo spazio, “meridionalista”?  Sicuri che il dibatto sulla “Questione meridionale” sia inutile e fuori tempo? Se avessimo voglia, potremmo partire da Scotellaro per poi continuare arrivare ai giorni nostri, collegandolo – con una sorta di filo rosso – a quelle figure che, quasi in maniera parallela  ed altrettanto interessante, provavano a leggere quello che stava accadendo in quegli anni  con lenti provocatorie e con l’urgenza di domandarsi se si stava procedendo nella direzione giusta. Mi riferisco, ad esempio non esaustivo, a Franco Costabile e Corrado Alvaro in Calabria, a Carlo Levi  (anch’egli molto attivo in Basilicata ma anche nell’intero Mezzogiorno), per passare a Giovanni Russo, giornalista campano e meridionalista militante.

La sfida è dunque aperta. Proviamoci.