La disobbedienza civile non si arresta: Azione Nonviolenta e la campagna di obiezione civile di Mao Valpiana

Continua la campagna “Obiezione alla guerra”. Migliaia di cittadine e cittadini italiani hanno presentato un atto formale con il quale si sono detti non disponibili in alcun modo a nessuna “chiamata alle armi”, e dunque si sono chiamati fuori dal ripristino del servizio militare, dall’aumento delle spese militari, dai nuovi obiettivi Nato, dal ReArmEU. Qui la petizione. Di seguito il racconto della campagna, voluta dal movimento Azione Nonviolenta a cura di Mao Valpiana.
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Mao Valpiana

«Se vi illudete che questa nuova legge, che introduce reati e inasprisce le pene, fermi la disobbedienza civile, vi sbagliate di grosso».
— Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento

Con queste parole, pronunciate a Verona pochi giorni fa, Mao Valpiana apre un fronte di resistenza morale che affonda le radici in oltre mezzo secolo di lotte nonviolente. La “legge sicurezza”, votata in fretta e furia dal Parlamento, alza le pene per chi blocca strade, rotaie o basi militari. Ma per Valpiana la minaccia del codice penale non basta: «Nessuna legge repressiva fermerà la forza creatrice della nonviolenza, più potente dell’atomica», ammonisce citando Gandhi.

Una storia di processi e assoluzioni

Il curriculum della disobbedienza è lungo: obiezione di coscienza al servizio militare, cause per “istigazione” all’evasione fiscale militare, blocchi ai treni carichi d’armi, marce su servitù militari, sit‑in davanti ai tribunali quando era “vietato”. Gli attivisti hanno pagato di tasca propria – multe, pignoramenti, persino la galera – salvo poi vedersi dare ragione da sentenze e referendum: dai missili di Comiso alle centrali nucleari bocciate dall’87 % degli italiani.

«Abbiamo preferito pagare per la pace anziché per la guerra», ricorda Valpiana. Una lezione che oggi torna d’attualità: «I regimi fondati sulla paura e sulla violenza sono sempre crollati. Anche questa volta sarà così».

Oltre settemila “no” alla chiamata alle armi

In parallelo alle parole del presidente del Movimento Nonviolento, si consolida la Campagna di Obiezione alla guerra 2022‑2025. Al Quirinale sono arrivate 5 306 nuove dichiarazioni di irreperibilità alla leva, che si sommano alle 2 165 già spedite a Palazzo Chigi: in totale 7 471 cittadini dichiarano che non risponderanno a eventuali mobilitazioni. Le lettere portano quattro destinatari in calce: Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, Ministro della Difesa, Capo di Stato Maggiore dell’Esercito.

Il testo è netto: «Non mi sottraggo al dovere di proteggere la mia comunità, ma credo che sia possibile difendere la vita senz’armi… Obietto contro tutte le guerre, in qualunque modo si voglia chiamare l’uso di armamenti nelle controversie internazionali». E ancora: «Chiedo che il mio nome sia inserito in un Albo pubblico degli obiettori».

Un fondo per chi dice no alle armi

Ogni firma è accompagnata da un versamento: un contributo che finanzia la difesa legale di obiettori e disertori russi, ucraini, bielorussi, israeliani e palestinesi, sostiene missioni di pace e accoglie in Italia chi rischia il carcere nei Paesi coinvolti. «Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace», ripete lo slogan della campagna, rilanciato da papa Leone XIV nell’incontro del 30 maggio con i movimenti pacifisti.

La proposta di Pasquale Pugliese: “Se vuoi la pace, preparala qui e ora”

Il saggista Pasquale Pugliese, voce storica del disarmo, rilancia: «Non basta dire se vuoi la pace prepara la guerra, dobbiamo rovesciare il paradigma: se vuoi la pace, prepara la pace». E indica le strade concrete che Regioni e Comuni possono percorrere:

  • Economia – Mappare i distretti che producono armamenti e favorirne la riconversione civile con “peace list” premianti; creare fondi per i lavoratori che scelgono l’obiezione di coscienza all’industria bellica; inserire clausole war‑free negli appalti pubblici.
  • Scuola e cultura – Bloccare la militarizzazione della formazione e finanziare percorsi di educazione alla nonviolenza in tutte le classi, dall’infanzia all’università.
  • Memoria attiva – Organizzare campi‑scuola a Monte Sole o Sant’Anna di Stazzema, luoghi‑simbolo delle stragi naziste, con ragazzi provenienti da Paesi in guerra.
  • Accoglienza – Aprire corridoi umanitari, riconoscere lo status di rifugiati a obiettori e disertori, costruire reti di dialogo tra comunità in conflitto.

Molti enti locali hanno già mosso i primi passi: la sindaca di Marzabotto Valentina Cuppi ha convocato per il 15 giugno la Marcia Save Gaza lungo i sentieri dell’eccidio, mentre i presidenti di Puglia ed Emilia‑Romagna minacciano di sospendere le relazioni con il governo israeliano finché durerà l’offensiva su Rafah.

Una sfida collettiva

Tra i testimonial della campagna figurano l’autore Alessandro Bergonzoni, il vignettista Mauro Biani, il fisico Carlo Rovelli. Ma la sfida, dicono gli organizzatori, è innanzitutto popolare: chiunque può copiare il testo di obiezione, inviarlo via pec alle istituzioni o spedirlo in cartaceo alla sede veronese del Movimento Nonviolento; chiunque può contribuire con un bonifico al fondo di sostegno.

La forza di questo movimento non sta soltanto nei numeri – pur in crescita – ma nel messaggio che attraversa generazioni: da chi rifiutò i fucili in caserma mezzo secolo fa a chi oggi dice no ai droni, alle bombe “intelligenti” e ai maxi‑stanziamenti per il riarmo europeo (ReArmEU). «Violenza chiama violenza, sangue chiama sangue: uccidere per salvare è una contraddizione che porta solo nuove guerre», recita il testo della dichiarazione.

Se la legge sicurezza vuole mettere il bavaglio alle proteste, la risposta di Valpiana e dei 7 471 firmatari suona come un coro: la nonviolenza non è debolezza, ma potenza creativa. E quando le istituzioni tardano, la società civile può già preparare la pace.