Trump-Zelensky: il ritorno del machismo Usa. L’Europa nel tritacarne

Se qualcuno mi avesse detto che un dialogo bilaterale per la pace tra Usa e Ucraina si sarebbe svolto in mondo visione, nel modo in cui si è svolto, gli avrei dato del folle. Invece è tutto vero e si è concluso in un disastro. Trump è imprevedibile e mette la comunità internazionale in difficoltà.

La vignetta di Francesco Siliberto


Di cosa parliamo? È di venerdì 28 febbraio scorso, il video dell’incontro bilaterale tra il Presidente USA Donald Trump, accompagnato dal vicepresidente JD Vance, ed il leader ucraino Volodymyr Zelensky, nello Studio ovale. L’obiettivo? Si sarebbero dovuto concludere un accordo di difesa per Kiev in cambio di concessioni sulle terre rare.

Le mire statunitensi

Dopo tre anni di guerra, in quest’incontro bilaterale, è apparso evidente il tentativo statunitense di voler spingere Kiev ad accettare un accordo svantaggioso e punitivo. Un obiettivo difficile, francamente, quello di Trump, che dimostra di voler interpretare il suo mandato come fosse ina sorta di eterna campagna elettorale (il suo modo di parlare sembrava più rivolto agli elettori – per meglio dire ai suoi e non all’intera platea di votanti – americani) e mostrando di essere un pessimo negoziatore internazionale.

Il gergo trumpiano

Proviamo a unire i puntini, oltre la questione Ucraina. Dalla provocazione (?) sulla Groenlandia alla questione delicata del canale di Panamá, dal voler rinominare il Golfo del Messico alle sue visioni sul Medio Oriente ed infine i suoi difficili rapporti con l’Europa. Donald Trump dice di poter negoziare accordi che nessun altro presidente statunitense saprebbe concludere. In realtà, l’ex uomo d’affari due volte presidente non sembra riuscire molto nelle sue trattative e sembra piuttosto – col suo “America First” – voler continuare ad accarezzare la pancia del suo elettorato, isolando gli Usa attraverso un costante peggioramento delle relazioni internazionali del suo Paese.

A pensarla così, non sono il solo. Vi riporto di seguito il commento di David Brooks, editorialista del New York Times, riportata dall’agenzia d’informazione, Sir, che ha sottolineato un concetto più volte ribadito da Trump nel corso della sua direzione della politica sia interna sia estera: la forza fa il diritto.

“Ciò che ho visto nelle ultime sei settimane è che gli Stati Uniti si comportano in modo vile, vile con i nostri amici in Canada e Messico, vile con i nostri amici in Europa. E oggi (l’incontro con Zelensky, ndr) è stato il fondo del barile, vile con un uomo che difende i valori occidentali, con grande rischio personale per lui e i suoi connazionali”.

Un punto di non ritorno

Facciamo un passo indietro. La vittoria alle presidenziali di Donald Trump ha segnato una linea dalla quale difficilmente si tornerà indietro. Il potere economico e il potere politico, in fasi alterne, hanno vissuto periodi di equilibrio precario. Sono anni, invece, che registriamo costanti e devastanti scivoloni del potere politico a favore del potere economico. Siamo arrivati in un punto, cioè, in cui l’élite economico finanziaria (sempre più stretta e sempre più coalizzata), portatrice di grandissimi interessi – che a ben vedere superano di gran lunga quelli nazionali – non si limitano a condizionare il potere politico, ma lo determinano personalmente.

Il caso Elon Musk e il ruolo dell’Europa

È il caso di Elon Musk, ad esempio. E questa commistione la si pagherà in maniera determinante. Con il rischio di vedere ridotte, tragicamente, le “conquiste” che la democrazia ha ottenuto.
Il passo di lato, invece, prima di arrivare alla fine di questo mio intervento, è la riflessione sull’Europa. Le difficoltà ad avere una politica estera comune sono sotto gli occhi di tutti noi. Il ruolo della Ue su questa vicenda, nonostante avvenga praticamente a ridosso dei suoi confini, sembra non essere decisiva per la cessazione della guerra.

“Siamo tutti sul Titanic”

Sono i singoli leader europei a relazionarsi con il presidente americano e non va molto meglio con la Russia di Putin. Su questo, e chiudo per davvero, riporto la parte finale dell’intervento di Andrij Ljubka, scrittore e poeta ucraino 37 enne che vive a Užhorod, su Internazionale n. 1603 del 28 febbraio scorso.

“Perdonatemi, quindi, ma dopo tre anni di guerra il messaggio che v’invio dall’Ucraina devastata forse non vi piacerà. Noi ucraini siamo contenti che dopo mille giorni di guerra da Kiev a Bruxelles ci sia finalmente una posizione condivisa, anche se tragicamente tardiva. Siamo tutti a bordo dello stesso Titanic, che non raggiungerà mai l’America perché l’America è lontana e il disastro è qui, imminente. Noi ucraini abbiamo stretto i denti e abbiamo resistito”.

“Ora vogliamo capire cosa farete voi europei: cercherete di trovare insieme a noi una scialuppa di salvataggio o continuerete ad affondare tra le onde, ascoltando le note commoventi dell’Inno alla gioia?”.