“Salento fuoco e fumo” e “Li menati”. Si parte proprio da lì, dai suoi due libri dedicati agli anni del “riscatto”, o meglio, dell’inizio del riscatto del Salento, per parlare con Fernando Blasi, alias Nandu Popu, di come si viveva nei primi anni ’90 nel “tacco d’Italia”, fra criminalità organizzata e voglia di riscatto, di fare altro, di una alternativa.
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Il membro storico dei Sud Sound System, tuttora in attività con Don Rico e Terron Fabio, è stato ospite della puntata numero 58 del Podcast “sul Lecce Calcio e sul senso della vita” Nu pocu e nu pocu: “Noi abbiamo iniziato a cantare per puro divertimento alla fine degli anni 80 – ricorda Nandu Popu -, quando la Sacra corona unita si era presa di fatto il Salento . Le piazze dove eravamo cresciuti erano ormai luoghi di spaccio e di sparatorie. Noi ci sentivamo veramente cacciati dal paese e con questo ‘gioco’ del reggae, con le dance hall nelle masserie abbandonate, caricando sulle macchine il gruppo elettrogeno, le casse, i piatti Technics, cercavamo di divertirci scappando da quelle piazze, con le quali non volevamo avere niente a che fare”.
Il reggae nel Salento: evasione e riscatto
Divertimento quindi, fuga, ma anche riscatto dalla droga: “Tra di noi c’erano anche ragazzi che avevano avuto a che fare con l’eroina – racconta – e loro conoscevano la nostra posizione molto dura su quella droga e quindi la dance-hall cercava di abbracciare quegli amici e di proteggerli”.
E nella dance-hall fa la sua comparsa (in musica) il dialetto salentino, fino ad allora utilizzato solo per canzoni folk (Bruno Petrachi su tutti): “Mio padre era sorpreso dal fatto che cantassimo in dialetto – ricorda ancora Nandu Popu – ‘ma ddaveru cantati in dialettu?’ mi chiedeva. Perché le accezioni collegate al dialetto erano tutte negative: collegate ai concetti del cafone, dell’ignorante, del provinciale”.
Il “brand” Salento
“A noi non fregava niente di questa impostazione culturale, anzi, ci piaceva proprio cantare in dialetto. Sinceramente credo che ‘l’organismo Salento’ si sia nutrito anche di noi per non perdere cultura del territorio, folklore, tradizione. Scappando da tutte le mode del tempo il gioco ha funzionato, creando un movimento culturale ed economico impressionante”.
Il brand Salento, insomma, dall’enogastronomia al turismo, parte anche da lì: “Un tempo chi andava al nord voleva emanciparsi dal dialetto e dall’essere meridionale in genere, oggi è l’inverso. Chi arriva dal nord vuole cantare la nostra musica, le nostre canzoni, e noi raccontiamo la nostra esperienza anche nelle scuole. Da quegli anni è iniziato un movimento che poi fino ai giorni nostri si è sempre più ampliato con artisti di primo livello, da Emma Marrone ai Negramaro fino agli artisti della Notte della Taranta. L’industria dello spettacolo nel Salento è esplosa con un indotto impressionante. In quelle piazze dove c’era spaccio e criminalità oggi c’è musica e cultura”.
Modello da esportare
Il riscatto di Lecce e del Salento per Nandu Popu è anche un modello da esportare: “Noi abbiamo partecipato a campagne per Brindisi e Taranto, per esempio, che hanno una storia incredibile che andrebbe valorizzata, ma purtroppo soffrono di problemi ambientali terribili. Taranto ha un’industria che uccide il territorio mentre dovrebbe vivere di storia, di cultura, di turismo, di mare col suo porto. Il riscatto di Lecce con la narrazione della sua identità è un esempio”.
La critica della scena attuale
Tornando invece alla musica, Fernando Blasi si scaglia sulla musica attuale, particolarmente nella versione “trap”. “In questo mondo di click e like e non di dischi acquistati coi risparmi, col sudore della fronte, la musica ha perso valore. Inoltre c’è un decadimento dei testi, delle parole, del linguaggio. Più la spari grossa, più click raccogli. Noi con le parole abbiamo dato un volto a questa terra, l’abbiamo aiutata a crescere, oggi invece senti canzoni con “la mia bitch”, parlando della propria fidanzata. Oppure ragazzini di buona famiglia che si atteggiano a narcos. Siamo passati dai Bob Marley, dai libri dei grandi scrittori alle cazzate più assurde”.
“Cazzate pericolosissime perché chi ascolta questa roba sono ragazzini under 14 e quella è l’età più delicata, in cui si formano le idee e gli intenti, chi sono e cosa voglio fare da grandi”.