Paesologo, poeta, narratore, scrittore e regista: Franco Arminio torna nel Salento il prossimo 28 agosto per il festival “Crocevia per lo Ionio” di Nardò. Diego Dantes lo ha intervistato prima dell’ormai irrinunciabile appuntamento “La luna e i calanchi”, il festival della paesologia che lui ha fortemente voluto e avviato quindici anni or sono e che quest’anno si svolgerà dal 19 al 23 agosto.

Un autore poliedrico
Franco Arminio è tante cose, e in un tempo in cui siamo sommersi dalle parole riesce sempre a stupirci con una lettura mai banale delle nostre realtà. Luogo magico del suo racconto paesologico è Aliano, dove da quindici anni si tiene il festival “La Luna e i Calanchi”, che altro non è che la Festa della Paesologia, ideata e diretta da lei. Siamo, come detto, alla quindicesima edizione che quest’anno si terrà dal 19 al 23 agosto. È un festival che vuole raccogliere intorno a un paese lucano, Aliano, il meglio delle tensioni civili e artistiche che si stanno sprigionando nel Mediterraneo interiore, con particolare attenzione a quello che accade in Lucania e nelle regioni vicine.
A cosa serve la poesia?
Partirei con una domanda a bruciapelo. A cosa serve la poesia?
È una diga contro la miseria spirituale. La poesia aiuta a diventare meno poveri spiritualmente e mi sembra una cosa importante. Abbiamo il dovere di non contribuire a questa oscena banalizzazione dell’umano.
Lei si definisce un paesologo. “Vento forte tra Lacedonia e Candela” e “Terracarne” (vincitore del Premio Carlo Levi) sono veri e propri manuali che spiegano cosa sia la paesologia. Lei dice che “La paesologia è una via di mezzo tra l’etnologia e la poesia. Non è una scienza umana, è una scienza arresa, utile a restare inermi, immaturi. La paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo”. E ancora: “Ogni volta che vado in un paese mi accorgo che la paesologia è una disciplina con molto avvenire, perché i paesi di avvenire ne hanno poco”.
Dopo anni in giro nelle piccole realtà italiane, che cosa ha capito dei nostri paesi? Qual è il loro stato di salute?
Purtroppo lo stato di salute non è buono, anzi si è aggravato. Un percorso di aggravamento costante, dal 2000 ad oggi. Si prenda ad esempio il fenomeno dello spopolamento che non si è mai arrestato, praticamente continua da nord a sud dell’Italia. Così come pure la sfiducia, questi paesi spesso sono veri e propri “cantieri della sfiducia”. Purtroppo non ci sono politiche, al momento, inadeguate ma soprattutto non c’è uno sguardo attento da parte del sistema politico, ma direi anche del sistema mediatico e intellettuale. C’è una disattenzione come dire polare verso i paesi, come se occuparsi di paesi fosse occuparsi di una questione minima del passato. È una percezione completamente sbagliata perché i paesi devono essere “il passato”, possono essere tranquillamente “il futuro”. Si tratta di rigenerarli, di dargli una nuova funzione.
Cedi la strada agli alberi. Poesie d’amore e di terra (Chiarelettere, 2017) è un libro di poesia straordinario. Come si spiega il successo determinato anche dalle tantissime ristampe, in un paese in cui si legge poco, ancor meno la poesia?
Forse perché è un libro che assomiglia ad una stretta di mano, e poi perché prova a mettere insieme le passioni intime, l’amore e le passioni civili. Un incrocio che nei libri di poesia, spesso, non si trova. Tra l’altro il libro continua ad andare avanti, ad essere venduto. I librai continuano a portarlo con sé agli incontri che faccio in giro per l’Italia e rimane il libro più richiesto dai lettori. È la prova che c’è bisogno di poesia e che alcuni libri riescono a incrociare questo bisogno.
“Prendi un angolo del tuo paese e fallo sacro”

Una divagazione, Lei ha scritto: “Prendi un angolo del tuo paese e fallo sacro. Vai a fargli visita prima di partire e quando torni”. Lei lo fa?
Sì, vado a trovare un tiglio nei pressi della casa di mio fratello. Saluto mio fratello e mi fermo davanti al tiglio. Lo faccio prima di partire da Bisaccia e quando torno, se non proprio immediatamente almeno qualche ora dopo, comunque in giornata.
Lei è di Bisaccia, provincia di Avellino. Ma ad Aliano, in Basilicata, prende vita il paesologo Franco Arminio, con il festival “La Luna e i Calanchi”. Siamo giunti quest’anno alla quindicesima edizione, dunque un festival in piena adolescenza. Che edizione dobbiamo aspettarci?
Quest’anno avremo, come sempre, un programma vasto, ma con una maggiore attenzione, rispetto ad altre edizioni, alla parte “pensosa”, ovvero a quella riflessiva. Molti dibattiti e incontri, ad esempio parleremo delle missioni legate alla Palestina, al consumo di suolo, all’economia, al consumismo. Abbiamo convocato una serie di pensatori, alcuni noti altri meno noti, come ad esempio Domenico Innacone, Antonio Spadaro, Andrea Di Consoli ma anche personaggi della politica come Nichi Vendola. Insomma una bella schiera di persone che proveranno a condividere delle riflessioni insieme ai partecipanti al festival, che giungeranno da tutta Italia. Ci sarà poi ampio spazio per la musica, al festival, che sarà pieno di ebrezza, però quest’anno abbiamo deciso di introdurre un ulteriore elemento, diciamo così: dedicare giusti tempi per la riflessione.
Quanta vita avrà ancora questo festival? O pensa che avrà una fine, visto che registriamo una certa sfiducia verso l’Italia interna?
Penso che sia chiaro, vista la mia età, che non potrò essere protagonista del festival all’infinito. Per cui stiamo organizzandoci perché, al di là di Arminio, la festa abbia un futuro. Stiamo lavorando per strutturarla e creare anche delle condizioni per cui anche nel paese riescono ad organizzarsi. Riteniamo che sia importante che Aliano abbia una proposta culturale tutto l’anno e sappia attrarre le persone con la cultura, oltre che con il paesaggio. Già quest’anno abbiamo fatto tre momenti culturali diversi dall’evento centrale del Festival. Negli anni a venire ci sarà sempre di più questa impostazione, ovvero sicuramente La luna e i calanchi ma anche una serie di eventi collaterali durante tutto l’anno. Il festival cresce e non si ferma, insomma.
Un messaggio per i più giovani “spaesati”
Da poeta e paesologo, cosa si sente di dire ai ragazzi che oggi, magari, si sentono spaesati rispetto alle decine di segnali con cui devono confrontarsi e rispetto ai mille input che ricevono quotidianamente? C’è qualche invito, consiglio, a guardare qualcosa con attenzione?
Una domanda complessa. Oggi sembra difficile avere 20-30 anni, pare molto difficile sentire “nostro” il mondo. I ragazzi sembrano “abitare” un luogo che non sembra loro, da qui anche un certo disinteresse. Ecco, forse più che guardare il mondo nel suo complesso, è importante sviluppare un legame con il proprio luogo. Magari occupandosene, insieme ad altre ragazzi, organizzando qualcosa. Questo crea un legame, anche più fiducia nell’abitare veramente i luoghi dove siamo. Solo dopo, piano piano, allargare lo sguardo al mondo. Insomma il punto di partenza, secondo me, sarebbe interessarsi, aver cura, dei propri luoghi. Mi sembra un gesto pieno di futuro.
“Salentini, siate nuovi e antichi come la vostra terra!”
Il 28 agosto tornerai nel Salento, a Nardò, per il festival “Crocevia per lo Ionio”. Qual è il rapporto del poeta e paesologo Arminio con questo angolo d’Italia?
In generale io amo molto l’arco ionico, dal Salento alla Calabria, il Golfo di Taranto… Nardò è nel cuore di questa geografia che amo. Di Nardò mi piace la sua luce, la sua piazza Salandra, per esempio. È un luogo d’Italia dove si può trovare un’intensità del tutto particolare ai miei occhi. In una geografia del tutto personale, Nardò ha un posto particolare. Qualche anno fa sono stato anche a Porto Selvaggio, luogo meraviglioso. A chi mi aspetta, ai salentini, dico di essere consapevoli di vivere come ricchi possidenti perché avete due mari, avete luoghi bellissimi, avete una musica straordinaria, dei saperi non ancora estinti. È una terra antica, il Salento, ma anche una terra del futuro. Ogni salentino dovrebbe essere antico e nuovo, come la sua terra.
La serata a Nardò, con il cuore a Gaza
Il suo intervento per “Crocevia per lo Ionio”, in programma alle 21.30, ha il titolo: “La cura dello sguardo” dal titolo di un libro di recente pubblicazione. Cosa ci aspetta?
Nel momento storico che viviamo, ci saranno riflessioni contro la guerra, poesie d’amore e poesie legate alla pace. Proverò a raccontare di poesie che vorrei definire “geografiche”, proprio per porre attenzione allo sguardo e guardare i luoghi. Dare uno sguardo più attento ai luoghi, dare una coscienza agli stessi, è una cosa che ritengo importante.Consentimi di dire, poi, che una delle cose che mi offende della guerra a Gaza è il fatto che ci sia qualcuno che pretende di togliere dei luoghi a qualcun altro. Da paesologo ritengo che ogni luogo sia importante e che ogni popolo, ogni persona, abbia diritto ad un luogo. Non può passare l’idea che sia tutto mercificato. L’amore, le guerre e la geografia saranno i tre fuochi intorno a cui ragionerò durante il mio intervento nel Festival e poi coglierò i tanti suggerimenti che l’incontro mi saprà dare perché mi piace che ogni serata non sia uguale ad un’altra.
Grazie per questi minuti, Franco. Ci vediamo o sentiamo presto, magari in un piccolo paese dell’Italia interna
Ciao Diego, certamente. Stàtte buòno!
Foto presenti sulla Pagina Facebook “La luna e i calanchi” su gentile concessione dell’autore